Carlos Acosta, il guerriero della danza. Dai vicoli di Cuba all’empireo del Royal Ballet di Londra

In sala dal 17 ottobre (per Exit Media), “Yuli, danza e libertà” di Icíar Bollaín dedicato al ballerino cubano Carlos Acosta. Un biopic che sfugge meravigliosamente all’agiografia senza negarsi bagliori di danza, oscillando dai passi di strada a stralci delle brillanti performance classiche a teatro, fino ai frammenti delle coreografie con cui Acosta oggi prova a ricostruire i suoi percorsi interiori. Ad Alicia Alonso, appena scomparsa a 98 anni, fondatrice del Ballet Nacional de Cuba dove è “nato” Carlos, la distribuzione dedica l’uscita del film …

La storia di Yuli e del suo riscatto da un’infanzia di povertà e privazioni grazie alla danza non è simile a quella di Billy Elliot, pur essendogli accostabile per tematica.

Intanto, perché il film di Iciar Bollain prende le mosse dalla vita vera – quella di Carlos Acosta, l’artista cubano che partecipa anche nelle vesti di se stesso oggi – e non una semplice fiction. Ma soprattutto perché scandaglia nelle pieghe dell’anima e di un rapporto lacerante fra padre e figlio, cerca radici, impianta una tridimensionalità umana di sentimenti su una parabola d’arte.

A immaginare un futuro come stella internazionale del balletto, infatti, non è il piccolo Yuli/Carlos, intento a fare il teppistello con gli altri ragazzini del quartiere, bensì il padre camionista, figlio di una ex schiava delle piantagioni a Cuba (il cognome Acosta, preso dal nome del luogo di segregazioni e schiavitù, resta un timbro indelebile della famiglia, come i numeri impressi sulle braccia dei prigionieri dei lager nazisti).

È Pedro, burbero e ostinato, a costringere il riottoso ragazzino a frequentare le lezioni di danza, arrivando a usare le cinghiate per forzarlo a quello che gli appare l’unico possibile luminoso destino del figlio. Scritto nel soprannome: Yuli il guerriero, colui che sarà “il primo negro a interpretare Romeo”. In virtù di questa visione, non esita ad allontanarlo dalla madre e dalle sorelle amate, dagli amici, da Cuba. Insensibile alle lacrime di Carlos, sordo anche agli altri dolori e alle contraddizioni che maturano ed esplodono in seno alla famiglia.

La sua volontà acuminata e scagliata come una freccia centrerà il bersaglio: Carlos diventerà davvero una stella internazionale, muovendo i primi passi nella scuola di Alicia Alonso, appena scomparsa. Della danza Carlos se ne innamorerà all’improvviso e per sempre – come spesso succede – vedendo un ballerino volteggiare. Sono i passi da un estratto de Le Corsaire, non per caso, danza maschia e quasi acrobatica, piena di leggiadria felina e forza insieme: le caratteristiche che diventeranno quelle di Carlos Acosta, che entrerà nell’empireo del Royal Ballet a Londra.

Yuli danza e libertà è un biopic che sfugge meravigliosamente all’agiografia senza negarsi bagliori di danza, oscillando dai passi di strada a stralci delle brillanti performance classiche a teatro fino ai frammenti delle coreografie con cui Acosta oggi prova a ricostruire i suoi percorsi interiori, proiettandoli sui corpi dei danzatori della sua compagnia fondata a Cuba (l’unica profezia non avveratasi del padre, che lo pensava legato per sempre a Londra).

La sceneggiatura di Paul Laverty – abituale collaboratore di Ken Loach – non smentisce la sua scrittura minuziosa di ritratti psicologici e ambienti sociali – Cuba palpita tra sottofondo e primi piani in tutto il film, passando dalle magnifiche sorti sognate da Che Guevara al desolato isolamento dell’isola.

La regia di Bollain sa estrarre l’intimità dei personaggi in pochi, essenziali tratti, con un tocco femminile particolare, quasi almodovariano, per i ritratti della madre, della sorella, della maestra di Carlos. E un cast azzeccato fa della storia un vortice commovente.

Dal piccolo Yuli, lo strepitoso scugnizzo cubano, Edilson Manuel Olbera (che quasi si mangia l’interpretazione del Carlos ventenne, Keyvin Martinez) al padre scolpito nella pietra di Santiago Alfonso (che curiosamente nel suo curriculum di attore, annovera anche esperienze di ballerino e coreografo).

Il vero Acosta suggella il film con brevi apparizioni, tra flashback e momento presente, concedendosi un breve assolo di danza che è un fremito, lieve e potente. Come la sua vita.